MASSIMO SACCHETTI
La montagna nella sua apparizione non è segno, neppure simbolo
Se cerchiamo la verità in pittura, non si tratta di vedere ciò che il quadro raffigura, ma di vedere secondo ciò che esso rende visibile. “Più che vedere il quadro, io vedo secondo il quadro e con esso”. Je ne regarde pas le tableau comme on regard une chose, poiché non è qui in questione un voir cecì ma un voir selon. Catturando lo sguardo, la pittura libera l’occhio dalla rappresentazione oggettiva, lo tocca, lo rovescia, lo taglia, come nella celebre sequenza iniziale di Un chien andalou di Buñuel. Ma lo sguardo è allora indiscernibile da la texture imaginaire du reél che, nella pittura, si fa mondo.
“L’occhio vede il mondo, ciò che manca al mondo per essere quadro”.
In gioco, nella pittura è questo scarto, resto o mancanza, che nel contempo esprime una totalità . La montagna, anzi il massiccio del Monte Bianco, si concede allo sguardo ma non rivela la sua essenza, poiché essa risiede nelle molteplici forme del suo continuo mutare. E solo quando si riesce a sentire la quasi silenziosa risonanza che la montagna emette, ecco allora che le arcaiche velature fanno spazio ad una effimera visione. Un'apparizione quale primo gesto compiuto, io sono qui, dove non posso sfuggire, non al mio dovere bensì alla mia passione. Non voglio toccare qualcosa che sia più vivo del mio ricordo. Nulla immagino, ma se ancora posso discernere frammenti della coscienza del mondo, e tornare a ciò che sta sotto, a ciò che sta sopra, a ciò che ho di fronte, allora posso davvero riconoscere tutto ciò che ho dietro. L'odore della terra addomesticata dal fuoco. So di certo che sono uno accanto all'altro, fino ad arrivare alla gronda. Taccio il lavoro è iniziato.